mercoledì 19 dicembre 2012

La nuova frontiera di internet, il mondo emergente dei blog, il declino e la decadenza dei media tradizionali, ne parliamo con il blogger Gaspare Serra.




 Gaspare, nel tuo blog di politica, cultura e società, “Panta Rei”,  ti definisci un “web attivista”. Cosa intendi dire?

Conoscerete tutti lo “speakers’ corner”, l’angolo degli oratori presente ad Hyde Park: un piccolo spazio pubblico nel cuore di Londra dove a chiunque è concesso salire su un palco improvvisato per arringare i passanti su qualsiasi argomento.
Prendendo spunto da ciò, mi sono servito del web come di un “speakers’ corner”: una piazza virtuale dove ritagliarmi uno spazio per esprimere le mie idee -anche le più minoritarie ed anticonformiste- e condividerle con chiunque disposto ad ascoltarle.
Il blog “Panta Rei” è un piccolo palco dal quale espongo riflessioni, lancio denunce, presento inchieste sui più disparati temi di politica ed attualità, per poi diffonderle viralmente attraverso i social network e le testate online con cui collaboro.
Il fine di tutto questo? Né informare né tantomeno insegnare qualcosa: semplicemente invitare i lettori a riflettere, a porsi delle domande, a interrogarsi.
Il mio blog ambisce ad essere un monito contro il pericolo di un irreversibile “imbarbarimento”, culturale, etico e politico; un invito ad una “resistenza attiva”, esercitata solo con le armi della ragione; un’esortazione spasmodica a “ritornare a pensare”, a risvegliare quelle coscienze critiche sopite, che cedono sempre più il passo all’apatia e al qualunquismo.

Dal tuo punto di vista, che ruolo hanno assunto oggi i blog e i social network?

La rete ha assunto un ruolo da “protagonista” nel mondo contemporaneo, persino nel determinare alcuni passaggi storici: la cd. “Primavera araba” non sarebbe nemmeno sorta senza questi mezzi liberi e incontrollabili di comunicazione!
Lo conferma il caso di Lina ben Mhenni, 29enne blogger tunisina, esempio di come giovani di vent’anni abbiano potuto innescare “cambiamenti epocali” semplicemente servendosi della rete. In un certo senso, gli ex presidenti Ben Alì ed Hosni Mubarak devono la loro testa proprio alla “rivoluzione internauta”!
Nel nord Africa quasi metà della popolazione è under 25 ed il tasso di disoccupazione giovanile si attesta al 30%. Di per sé una buona ragione, unita alla mancanza di libertà civili, per ribellarsi. Senza lo straordinario “catalizzatore” del web, però, dubito che una simile “massa pensante” si sarebbe così repentinamente trasformata in una “massa protestante”!
Guardando in casa nostra, poi, tra qualche mese la sorpresa elettorale annunciata sarà il successo del Movimento Cinque Stelle, i cui candidati sono stati scelti sulla base di “parlamentarie” online. Cosa rappresenta questo se non la rivincita di un blog di successo su partiti tradizionali?

I giornali, padri nobili della nostra informazione, sono destinati a scomparire?

è di tutta evidenza che il futuro dell’informazione è online: in un mondo superveloce e globalizzato, è anacronistico pensare che possa avere un qualche “appeal” per i giovani il mondo della carta stampata. Sono sempre più coloro che s’informano o s’intrattengono navigando in rete piuttosto che guardando passivamente la tv o leggendo sulla carta stampata notizie “già scadute” prima d’esser lette.
Se internet è “l’esemplificazione più riuscita dell’eterno presente”, citando il filosofo Diego Fusaro, i quotidiano sono semplicemente una memoria del passato. Una memoria, però, da salvaguardare e che non può cancellarsi del tutto!
La stampa non si estinguerà nella misura in cui riuscirà a rinnovarsi, a stare al passo con la rivoluzione tecnologica moderna. Com’è probabile che i nostri figli si recheranno a scuola tenendo un tablet in mano piuttosto che uno zaino sulle spalle, allo stesso modo sopravvivranno quelle testate che saliranno sul treno in corsa dell’innovazione, imponendosi come autorevoli giornali online e rendendosi accessibili ai lettori a portata di ipad.
L’unica vera differenza rispetto ad oggi, così, sarà la scomparsa di molte piccole testate e lo svuotamento degli scaffali delle edicole, oggi stracolmi d’ingombrati, a volte inutili, quotidiani!

Non credi che il potere anarchico e incontrollabile del web possa essere più pericoloso dello strapotere mediatico avuto fino oggi dalla televisione?

Certamente. Non si deve cadere nell’errore di santificare o mitizzare il “world wide web”: citando Daniele Luttazzi, “se la televisione è un sonnifero, internet è un ipnotico potentissimo”!
Sono molti i “lati oscuri” della rete:
·                     la minaccia, sempre incombente, della “disinformazione”.
Internet è un “tritacarne dell’informazione”, un mostro a più teste rigurgitante di tutto: da informazioni utili a pseudo notizie, da preziosi studi a clamorose fandonie, da analisi accademiche sopraffini a mere immondizie culturali. Agli occhi di utenti svogliati, in cerca di un diversivo per sconfiggere la monotonia, una palese falsità, ripetuta, “linkata”, “taggata” più volte, può trasformarsi in una conclamata verità!
·                     Il rischio della diffusione della cd. “internet dipendenza”.
Sempre più persone sostituiscono il mondo virtuale a quello reale, perdendo il contatto con la realtà. Questo è un nuovo “male sociale” con cui presto occorrerà fare seriamente i conti…
·                     Il pericolo di un’impunita “violazione della privacy”.
Inquieta l’incoscienza con cui molti utenti immettono dati sensibili in rete senza alcuna consapevolezza della difficoltà di rimuoverli in un secondo tempo o del possibile uso improprio che terzi possano farne.
·                     L’emergenza della “pornografia di massa”.
Navigando sul web, è terribilmente facile, anche per i più giovani, ritrovarsi impigliati nella rete dell’hard. In una società profondamente “sessuofobica”, anzi, troppo spesso il porno a portata di tutti è divenuto l’unica forma di educazione alla sessualità per molti!
·                     La proliferazione di “contenuti violenti”.
è sempre più frequente la moda di filmarsi nell’atto di compiere atti pericolosi, osceni o, ancor peggio, reati, per poi diffondere online le immagini e “vedere l’effetto che fa”. Il rischio emulazione, dunque, è molto alto.
La rete, inoltre, è il ritrovo ideale per uomini falliti e frustrati dalla vita, che passano le loro giornate ad insultare gli altri nell’illusoria persuasione di trovare qualcuno più inutile di se stessi, del quale sentirsi superiori.

Come difendersi, allora, da questi pericoli?

Nonostante le minacce rappresentate da un accesso “incontrollato” degli utenti dall’immissione di contenuti “senza filtro”, il web conserva una qualità ineguagliabile: è l’unico “mercato della conoscenza” libero ed accessibile a chiunque, superando qualsiasi barriera, fisica o immateriale!
Vi è solo una domanda da porsi, allora: vale la pena “correre il rischio”?
La mia risposta è “si”, se ciò è l’unica garanzia di un’effettiva tutela del bene supremo della “libertà di espressione”!
La causa di ogni eccesso online non dipende dallo strumento in sé, bensì dall’uso che se ne fa: occorre accrescere la maturità, responsabilità e coscienza critica di chi naviga.
Limitare la libertà degli internauti, mettere un “bavaglio” all’informazione online o un “guinzaglio” ai blogger non è la soluzione!
Piuttosto, è giunto il momento di costituzionalizzare il diritto al “libero accesso ad Internet”, inserendo un apposito richiamo all’interno dell’articolo 21 della Costituzione.

Perché proporre di costituzionalizzare il “libero accesso ad Internet”? Non ritieni questo già un diritto garantito?

Non posso proprio crederlo sapendo che (dati della Commissione europea):

·                     oltre il 41% degli italiani non è “mai” entrato in rete (il doppio rispetto ai francesi o tedeschi, il quadruplo in rapporto agli inglesi);

·                     l’Italia è terzultima per percentuale di popolazione che si connette alla rete almeno “una volta a settimana”;
·                     il nostro Paese è penultimo per la copertura di internet veloce, o Adsl, sul territorio nazionale;
·                     l’Italia è ultima per la diffusione di internet superveloce, coprendo con le fibre ottiche solo il 10% del territorio nazionale (la Francia copre già il 20% ed ambisce al 100% entro il 2025, il Portogallo il 60%, la Svizzera il 90%, la Corea ed il Giappone il 100%!).
Il nostro “spread digitale” (o “digital divide”) è spaventoso!
Quando si parla di “alta velocità”, allora, siamo sicuri che la priorità che dovremmo avere in mente sia la Tav, piuttosto che la nostra vetusta rete internet?

Che giudizio dai sulla qualità dell’informazione italiana?

I media italiani hanno trascurato per anni la loro unica missione: “informare”.
è questa la causa prima di tutti i mali della nostra informazione:
·                     la “perdita d’autorevolezza” dei principali canali d’informazione.
Un tempo la frase “l’ho sentito al Tg1” o “l’ho letto sul Corriere” era un attestato inoppugnabile di attendibilità delle notizie. è forse ancora così?
Dei telegiornali, in particolare, solo il TgLa7 si sforza di apparire il più obiettivo possibile (sforzo che il Tg3 ed il Tg4 si sono sempre risparmiati), mentre tutti gli altri sono stati, in qualche maniera, contaminati dal virus di “Studio Aperto” (uno pseudo tg che ha rinunciato all’inchiesta giornalistica, ridotto lo spazio riservato alla politica, romanzato la cronaca nera ed immesso nel circolo televisivo iniezioni massicce di gossipparo qualunquismo!).
·                     La scomparsa del giornalismo d’inchiesta.
“Report” è l’ultimo esemplare del genere ancora presente sugli schermi: per il resto, negli ultimi anni le uniche inchieste degne di nota sono state quella realizzata a Montecarlo “su commissione”, il falso documentale che è costato il posto all’ex direttore de l’Avvenire, Dino Boffo, e il discutibile scoop sul colore dei calzini del giudice Mesiano!
·                     Il “provincialismo” della nostra informazione.
Che fine ha fatto la politica estera? Spacciata per roba da esterofili ed intellettuali, di esteri se ne parla solo per aggiornare la conta dei militari italiani morti in missioni di pace e, a scadenza quadriennale, in occasione delle Presidenziali americane.
Fanno più notizia le preferenze letterarie di un consigliere regionale (se Nicole Minetti ama la lettura di “Mignottocrazia”) piuttosto che una guerra civile nel corno d’Africa, le persecuzioni etniche in Tibet, la guerra dei Narcos in Sudamerica o le rivolte popolari in Medio Oriente;
·                     La degenerazione dei “talk show” politici.
Questi si sono limitati a riprodurre sul piccolo schermo le miserie del teatrino politico italiano, creando personaggi grotteschi (quali i Gasparri o le Santanché) ed affidandogli copioni prestabiliti (le parti più ambite rimangono quelle dei berlusconiani ed antiberlusconiani). Il tutto con la regia di conduttori faziosi (si veda Santoro o Vespa) o falsamente bonari (si veda Floris), pronti ad aizzare gli ospiti come leoni in gabbia, riprendendo lo spettacolo!
Il risultato? Confronti ideologizzati e privi di contenuti, farciti di slogan e battute degne in una campagna elettorale di quart’ordine!
Quel giorno in cui un conduttore, nel caso in cui un ospite dica “fuori piove” e la controparte “fuori c’è il sole”, faccia l’unica cosa che un giornalista dalla schiena dritta è chiamato a fare, ovvero affacciarsi a guardare che tempo fa, forse cambierò opinione…

Che giudizio dai, invece, sulla tv italiana?

Il peccato originario della nostra televisione è stato la sottomissiva devozione al “Dio Denaro”: la totale soggezione alle logiche dell’auditel e della pubblicità.
Da ciò dipendono tutte le sue degenerazioni:
·                     l’“omogeneizzazione” dei prodotti televisivi.
La tv manca del tutto d’innovazione ed originalità: i palinsesti sono monotoni e ripetitivi, così come le facce che appaiono sul piccolo schermo, riciclate fino all’inverosimile (non esiste un turnover o un’età per il pensionamento nel mondo dello spettacolo?).
Basta fare zapping, a qualsiasi ora del giorno, per accorgersi di come la tv generalista si “scopiazzi” a suo piacimento o riproduca all’infinito programmi “triti e ritriti” che garantiscano un minimo di seguito nel pubblico fidelizzato.
Altro che duopolio televisivo: potremmo parlare di monopolio “Raiset”!
·                     La “mercificazione” del corpo delle donne.
Non occorre spendere molte parole: documentari come “Il corpo delle donne”, film come “Videocracy” e manifestazioni quali “Se non ora quando?” hanno palesato il bieco maschilismo -celato da machismo- della società italiana, riprodotto cecamente dalla televisione nella sua versione più becera.
Si è spacciato per verità il fatto che denudarsi, mostrarsi, apparire come “carne da macello” fosse un segno d’emancipazione per le donne. Il che sarebbe vero se, al contempo, fosse garantita alle stesse la libertà di realizzarsi anche solo per quel che si pensa oltre per come si appare!
·                     L’“overdose” di cronaca nera.
Prima col caso di Cogne, poi con i delitti di Garlasco e Perugia, infine con gli omicidi Scazzi e Rea, la tv ha dato abbondantemente prova di superare il “limite della decenza”! Si è messo in scena un’informazione urlata e senza pudore, il tutto ad un solo fine: soddisfare il “voyeurismo” del pubblico! Ogni caso di cronaca viene sistematicamente serializzato, trasformato in format televisivo, in un “reality dell’orrore” grazie al quale riempire i palinsesti televisivi e far crescere vertiginosamente l’audience.
Chi non ricorda il cancello marrone dei Misseri, in via Grazia Deledda? è concepibile che, per mesi, questa immagine abbia oscurato ogni altra notizia? Qualcuno forse immagina Enzo Biagi ricostruire un delitto dinanzi a un “plastico” o Indro Montanelli pedinare i parenti della vittima appena usciti dall’obitorio? Può Dio auditel assolvere ogni “eccesso mediatico”?
Se è questo il livello dell’informazione, perché quantomeno non abolire il canone Rai e privatizzare due delle tre reti televisive di Stato?
Perché obbligare ogni italiano -anche coloro che preferirebbero un abbonamento a Sky- a pagare il canone Rai?
Forse per continuare a permetterci gli “stipendi d’oro” dei suoi dirigenti e per

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