Gaspare, nel
tuo blog di politica, cultura e società, “Panta
Rei”, ti definisci un “web attivista”. Cosa intendi
dire?
Conoscerete
tutti lo “speakers’ corner”, l’angolo degli oratori presente ad Hyde Park: un
piccolo spazio pubblico nel cuore di Londra dove a chiunque è concesso salire
su un palco improvvisato per arringare i passanti su qualsiasi argomento.
Prendendo
spunto da ciò, mi sono servito del web come di un “speakers’ corner”: una piazza
virtuale dove ritagliarmi uno spazio per esprimere le mie idee -anche le più
minoritarie ed anticonformiste- e condividerle con chiunque disposto ad
ascoltarle.
Il
blog “Panta Rei” è un piccolo palco dal quale espongo riflessioni, lancio denunce,
presento inchieste sui più disparati temi di politica ed attualità, per poi
diffonderle viralmente attraverso i social network e le testate online con cui
collaboro.
Il
fine di tutto questo? Né informare né tantomeno insegnare qualcosa: semplicemente
invitare i lettori a riflettere, a porsi delle domande, a interrogarsi.
Il
mio blog ambisce ad essere un monito contro il pericolo di un irreversibile
“imbarbarimento”, culturale, etico e politico; un invito ad una “resistenza
attiva”, esercitata solo con le armi della ragione; un’esortazione spasmodica a
“ritornare a pensare”, a risvegliare quelle coscienze critiche sopite, che cedono
sempre più il passo all’apatia e al qualunquismo.
Dal tuo
punto di vista, che ruolo hanno assunto oggi i blog e i social network?
La
rete ha assunto un ruolo da “protagonista” nel mondo contemporaneo, persino nel
determinare alcuni passaggi storici: la cd. “Primavera araba” non sarebbe
nemmeno sorta senza questi mezzi liberi e incontrollabili di comunicazione!
Lo conferma il caso di Lina ben Mhenni, 29enne blogger tunisina, esempio di come giovani di vent’anni abbiano potuto
innescare “cambiamenti epocali” semplicemente servendosi della rete. In un certo
senso, gli ex presidenti Ben Alì ed Hosni Mubarak devono la loro
testa proprio alla “rivoluzione internauta”!
Nel
nord Africa quasi metà della popolazione è under 25 ed il tasso di
disoccupazione giovanile si attesta al 30%. Di per sé una buona ragione, unita
alla mancanza di libertà civili, per ribellarsi. Senza lo straordinario “catalizzatore”
del web, però, dubito che una simile “massa pensante” si sarebbe così
repentinamente trasformata in una “massa protestante”!
Guardando in casa nostra, poi, tra qualche
mese la sorpresa elettorale annunciata sarà il successo del Movimento Cinque Stelle,
i cui candidati sono stati scelti sulla base di “parlamentarie” online. Cosa
rappresenta questo se non la rivincita di un blog di successo su partiti
tradizionali?
I giornali,
padri nobili della nostra informazione, sono destinati a scomparire?
è
di tutta evidenza che il futuro dell’informazione è online: in un mondo
superveloce e globalizzato, è anacronistico pensare che possa avere un qualche
“appeal” per i giovani il mondo della carta stampata. Sono sempre più coloro
che s’informano o s’intrattengono navigando in rete piuttosto che guardando
passivamente la tv o leggendo sulla carta stampata notizie “già scadute” prima
d’esser lette.
Se internet è “l’esemplificazione più riuscita dell’eterno
presente”, citando il filosofo Diego Fusaro, i quotidiano sono semplicemente
una memoria del passato. Una memoria, però, da salvaguardare
e che non può cancellarsi del tutto!
La stampa non si estinguerà nella misura in
cui riuscirà a rinnovarsi, a stare al passo con la rivoluzione tecnologica
moderna. Com’è probabile che i nostri figli si recheranno a scuola tenendo un
tablet in mano piuttosto che uno zaino sulle spalle, allo stesso modo
sopravvivranno quelle testate che saliranno sul treno in corsa
dell’innovazione, imponendosi come autorevoli giornali online e rendendosi
accessibili ai lettori a portata di ipad.
L’unica vera differenza rispetto ad oggi,
così, sarà la scomparsa di molte piccole testate e lo svuotamento degli
scaffali delle edicole, oggi stracolmi d’ingombrati, a volte inutili,
quotidiani!
Non credi
che il potere anarchico e incontrollabile del web possa essere più pericoloso dello
strapotere mediatico avuto fino oggi dalla televisione?
Certamente.
Non si deve cadere nell’errore di santificare o mitizzare il “world wide web”:
citando Daniele Luttazzi, “se la televisione è un sonnifero, internet è un
ipnotico potentissimo”!
Sono molti i
“lati oscuri” della rete:
·
la minaccia,
sempre incombente, della “disinformazione”.
Internet è un “tritacarne dell’informazione”, un mostro a
più teste rigurgitante di tutto: da informazioni utili a pseudo notizie, da
preziosi studi a clamorose fandonie, da analisi accademiche sopraffini a mere
immondizie culturali. Agli occhi di utenti svogliati, in cerca di un diversivo
per sconfiggere la monotonia, una palese falsità, ripetuta, “linkata”,
“taggata” più volte, può trasformarsi in una conclamata verità!
·
Il
rischio della diffusione della cd. “internet dipendenza”.
Sempre più persone sostituiscono il mondo
virtuale a quello reale, perdendo il contatto con la realtà. Questo è un nuovo
“male sociale” con cui presto occorrerà fare seriamente i conti…
·
Il
pericolo di un’impunita “violazione della privacy”.
Inquieta l’incoscienza con cui molti utenti
immettono dati sensibili in rete senza alcuna consapevolezza della difficoltà
di rimuoverli in un secondo tempo o del possibile uso improprio che terzi
possano farne.
·
L’emergenza
della “pornografia di massa”.
Navigando sul web, è terribilmente facile, anche per i
più giovani, ritrovarsi impigliati nella rete dell’hard. In una società
profondamente “sessuofobica”, anzi, troppo spesso il porno a portata di tutti è
divenuto l’unica forma di educazione alla sessualità per molti!
·
La
proliferazione di “contenuti violenti”.
è sempre più frequente la moda di
filmarsi nell’atto di compiere atti pericolosi, osceni o, ancor peggio, reati,
per poi diffondere online le immagini e “vedere l’effetto che fa”. Il rischio
emulazione, dunque, è molto alto.
La rete, inoltre, è il ritrovo ideale per uomini
falliti e frustrati dalla vita, che passano le loro giornate ad insultare gli
altri nell’illusoria persuasione di trovare qualcuno più inutile di se stessi,
del quale sentirsi superiori.
Come
difendersi, allora, da questi pericoli?
Nonostante
le minacce rappresentate da un accesso “incontrollato” degli utenti
dall’immissione di contenuti “senza filtro”, il web conserva una qualità
ineguagliabile: è l’unico “mercato della conoscenza” libero ed accessibile a
chiunque, superando qualsiasi barriera, fisica o immateriale!
Vi
è solo una domanda da porsi, allora: vale la pena “correre il rischio”?
La
mia risposta è “si”, se ciò è l’unica garanzia di un’effettiva tutela del bene
supremo della “libertà di espressione”!
La
causa di ogni eccesso online non dipende dallo strumento in sé, bensì dall’uso
che se ne fa: occorre accrescere la maturità, responsabilità e coscienza
critica di chi naviga.
Limitare
la libertà degli internauti, mettere un “bavaglio” all’informazione online o un
“guinzaglio” ai blogger non è la soluzione!
Piuttosto, è giunto il momento di
costituzionalizzare il diritto al “libero accesso ad Internet”, inserendo un
apposito richiamo all’interno dell’articolo 21 della Costituzione.
Perché proporre
di costituzionalizzare il “libero accesso ad Internet”? Non ritieni questo già un
diritto garantito?
Non posso proprio crederlo sapendo che (dati della Commissione europea):
· oltre il 41% degli italiani non è “mai” entrato in rete (il doppio rispetto ai francesi o tedeschi, il quadruplo in rapporto agli inglesi);
·
l’Italia
è terzultima per percentuale di popolazione che si connette alla rete almeno
“una volta a settimana”;
·
il
nostro Paese è penultimo per la copertura di internet veloce, o Adsl, sul
territorio nazionale;
·
l’Italia
è ultima per la diffusione di internet superveloce, coprendo con le fibre
ottiche solo il 10% del territorio nazionale
(la Francia copre già il 20% ed ambisce al 100% entro il 2025, il
Portogallo il 60%, la Svizzera il 90%, la Corea ed il Giappone il 100%!).
Il nostro “spread
digitale” (o “digital divide”) è spaventoso!
Quando si parla di “alta velocità”, allora, siamo sicuri che
la priorità che dovremmo avere in mente sia la Tav, piuttosto che la nostra
vetusta rete internet?
Che giudizio
dai sulla qualità dell’informazione italiana?
I
media italiani hanno trascurato per anni la loro unica missione: “informare”.
è questa la causa prima di tutti i mali della
nostra informazione:
·
la
“perdita d’autorevolezza” dei principali canali d’informazione.
Un
tempo la frase “l’ho sentito al Tg1” o “l’ho letto sul Corriere” era un
attestato inoppugnabile di attendibilità delle notizie. è forse ancora così?
Dei
telegiornali, in particolare, solo il TgLa7 si sforza di apparire il più
obiettivo possibile (sforzo che il Tg3 ed il Tg4 si sono sempre risparmiati),
mentre tutti gli altri sono stati, in qualche maniera, contaminati dal virus di
“Studio Aperto” (uno pseudo tg che ha rinunciato all’inchiesta giornalistica,
ridotto lo spazio riservato alla politica, romanzato la cronaca nera ed immesso
nel circolo televisivo iniezioni massicce di gossipparo qualunquismo!).
·
La
scomparsa del giornalismo d’inchiesta.
“Report”
è l’ultimo esemplare del genere ancora presente sugli schermi: per il resto,
negli ultimi anni le uniche inchieste degne di nota sono state quella
realizzata a Montecarlo “su commissione”, il falso documentale che è costato il
posto all’ex direttore de l’Avvenire, Dino Boffo, e il discutibile scoop sul
colore dei calzini del giudice Mesiano!
·
Il
“provincialismo” della nostra informazione.
Che
fine ha fatto la politica estera? Spacciata per roba da esterofili ed
intellettuali, di esteri se ne parla solo per aggiornare la conta dei militari
italiani morti in missioni di pace e, a scadenza quadriennale, in occasione
delle Presidenziali americane.
Fanno
più notizia le preferenze letterarie di un consigliere regionale (se Nicole
Minetti ama la lettura di “Mignottocrazia”) piuttosto che una guerra civile nel
corno d’Africa, le persecuzioni etniche in Tibet, la guerra dei Narcos in
Sudamerica o le rivolte popolari in Medio Oriente;
·
La
degenerazione dei “talk show” politici.
Questi
si sono limitati a riprodurre sul piccolo schermo le miserie del teatrino
politico italiano, creando personaggi grotteschi (quali i Gasparri o le Santanché)
ed affidandogli copioni prestabiliti (le parti più ambite rimangono quelle dei
berlusconiani ed antiberlusconiani). Il tutto con la regia di conduttori
faziosi (si veda Santoro o Vespa) o falsamente bonari (si veda Floris), pronti
ad aizzare gli ospiti come leoni in gabbia, riprendendo lo spettacolo!
Il
risultato? Confronti ideologizzati e privi di contenuti, farciti di slogan e
battute degne in una campagna elettorale di quart’ordine!
Quel
giorno in cui un conduttore, nel caso in cui un ospite dica “fuori piove” e la controparte
“fuori c’è il sole”, faccia l’unica cosa che un giornalista dalla schiena
dritta è chiamato a fare, ovvero affacciarsi a guardare che tempo fa, forse
cambierò opinione…
Che giudizio
dai, invece, sulla tv italiana?
Il peccato originario della
nostra televisione è stato la sottomissiva devozione al “Dio Denaro”: la totale
soggezione alle logiche dell’auditel e della pubblicità.
Da ciò dipendono tutte le sue
degenerazioni:
·
l’“omogeneizzazione”
dei prodotti televisivi.
La tv manca del tutto
d’innovazione ed originalità: i palinsesti sono monotoni e ripetitivi, così
come le facce che appaiono sul piccolo schermo, riciclate fino all’inverosimile
(non esiste un turnover o un’età per il pensionamento nel mondo dello spettacolo?).
Basta fare zapping, a qualsiasi
ora del giorno, per accorgersi di come la tv generalista si “scopiazzi” a suo
piacimento o riproduca all’infinito programmi “triti e ritriti” che
garantiscano un minimo di seguito nel pubblico fidelizzato.
Altro che duopolio televisivo:
potremmo parlare di monopolio “Raiset”!
·
La “mercificazione”
del corpo delle donne.
Non occorre spendere molte
parole: documentari come “Il corpo delle donne”, film come “Videocracy” e
manifestazioni quali “Se non ora quando?” hanno palesato il bieco maschilismo
-celato da machismo- della società italiana, riprodotto cecamente dalla
televisione nella sua versione più becera.
Si è spacciato per verità il
fatto che denudarsi, mostrarsi, apparire come “carne da macello” fosse un segno
d’emancipazione per le donne. Il che sarebbe vero se, al contempo, fosse
garantita alle stesse la libertà di realizzarsi anche solo per quel che si
pensa oltre per come si appare!
·
L’“overdose” di
cronaca nera.
Prima col caso di Cogne, poi con i delitti di Garlasco e Perugia,
infine con gli omicidi Scazzi e Rea, la
tv ha dato abbondantemente prova di superare il “limite della decenza”! Si è
messo in scena un’informazione urlata e senza pudore, il tutto ad un solo fine:
soddisfare il “voyeurismo” del pubblico! Ogni caso di cronaca viene
sistematicamente serializzato, trasformato in format televisivo, in un
“reality dell’orrore” grazie al quale riempire i palinsesti televisivi e far
crescere vertiginosamente l’audience.
Chi
non ricorda il cancello marrone dei Misseri, in via Grazia Deledda? è concepibile che, per mesi, questa
immagine abbia oscurato ogni altra notizia? Qualcuno forse immagina Enzo Biagi ricostruire un delitto dinanzi a un
“plastico” o Indro Montanelli pedinare i parenti della vittima appena usciti
dall’obitorio? Può Dio auditel assolvere ogni “eccesso mediatico”?
Se è questo il livello dell’informazione, perché quantomeno non abolire il
canone Rai e privatizzare due delle tre reti televisive di Stato?
Perché obbligare ogni italiano -anche coloro che preferirebbero un
abbonamento a Sky- a pagare il canone Rai?
Forse per continuare a permetterci gli “stipendi
d’oro” dei suoi dirigenti e per
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