martedì 11 settembre 2012

La teoria dell'IMMOBILISMO

                                                                                                    di Sara Leda


Supponiamo di avere circa trent'anni, una laurea, una specializzazione. Aggiungiamo anche un master, un paio di lingue straniere conosciute discretamente ed una serie - dico proprio SERIE - di contratti di collaborazione a termine, quei così detti "progetti" sempre troppo diversi da quanto appaiano sulla carta e che spesso ti sottoutilizzano in modo umiliante. Aggiungiamo anche un numero imprecisato di stage a titolo gratuito e senza alcuna prospettiva di assunzione in modo dichiarato.
Supponiamo quindi di essere il “giovane tipo” ma non TROPPO GIOVANE, ossia quello ancora impegnato a pensare il proprio futuro trascinandosi tra lavoretti part time, corso di studi universitario con annesso impegno politico in fase “pseudo utopistica” e - contemporaneamente a tutto questo - l’iniziativa di progetti di sviluppo lavorativo da imprenditore di sé stesso ma con ritorno economico insufficiente anche per una persona sola. No. Spostiamo lo sguardo dalle “grandi speranze” e torniamo alla nostra supposizione dove siamo più “grandi” di costoro e per intenderci già facenti parte di quella generazione che qualcuno ha iniziato a definire come “di transizione” quando il senso delle parole è "da taglio", ossia quello stadio della vita dove sei già visto come troppo impegnativo per essere ancora sfruttato solo per fare esperienza e curriculum  - perché stai già perdendo la pazienza e inizi a pretendere rispetto per il tuo lavoro - ma sempre troppo giovane per ambire al posto già puntato dall'ultra quarantenne medio (ancora precario) che ancora attende il pensionamento del lavoratore sessantenne di turno per poterne occupare il posto da un decennio abbondante e che, a sua volta, non andrà in pensione in tempo per lasciarti in eredità il suo.
Ecco... se per caso - come me - fate parte di questa categoria ignorata e anagraficamente problematica, categoria definita nei modi più offensivi e ridicoli da vari rappresentanti di destra e sinistra...beh, ragazzi miei… siete fregati! Ed io come voi, ovviamente.
A detta di molti dovremmo prenderne serenamente atto. Ovviamente a detta di tutti quelli che non hanno i nostri problemi.
Gli anziani infatti, ci riconosco una certa sfiga anagrafica e ci prospettano una vita peggiore di quella avuta dai nostri genitori (e per colpa di chi?); i più giovani ci fanno presente di essere già più svegli e competitivi di noi (ancora non capiscono di essere nella fase "carne da macello", da noi già superata brillantemente per giungere direttamente a quella di "scarto industriale" ). In mezzo... Noi. Noi, con la coperta della nonna sulla testa e il bicchiere di camomilla nell'altra (o whiskey direttamente, nei momenti tristi) che passiamo il tempo a cercare di comprendere dove avremmo sbagliato e perché la competenza e la disponibilità di anni non siano bastati a fare di noi un determinato tipo di professionista e non un professionista a tempo determinato. Malumori e depressioni ci colgono ogni giorno davanti alle fermate degli autobus (perché mantenere la macchina ci costerebbe troppo) ed alla sera torniamo nelle nostre stanze “di ragazzi”, che ci apprestiamo a riconvertire in monolocali da occupare con il nostro compagno visto che gli affitti sono cari come mutui e mutui non ce ne danno (perché a “progetto perenne”) e questo sempre che i nostri genitori non abbiano niente in contrario, ovviamente. E ne avrebbero ottime ragioni. Anche solo di spazio.
Pigri, annoiati, antipatici, immaturi…
pretendiamo troppo, a quanto pare. Quando poi il “troppo” in questione sarebbe un lavoro attinente al nostro titolo di studio e dignitosamente retribuito. Un’occupazione che abbia a che fare con le nostre esperienze e competenze, maturate durante anni di lavoro ai quali se ne sono sommati altri non previsti. Per adeguarsi ai tempi qualcuno tra noi - una parte sempre più significativa - ritorna a studiare, studiare anche altro, perfezionarsi, ADEGUARSI alle richieste. Ma non basta. O meglio… è sempre troppo per il troppo poco che ci dovremmo fare bastare.
Noi trascorriamo il tempo a fare esperienze “formative”, regalare la nostra competenza, perfezionarci, SPERARE. E dopo tanti sacrifici ci viene brutalmente detto: basta ambire! Prendete la prima cosa che vi offrono e ringraziate che ci sia.
Cosa?
DOPO SEI ANNI DI STUDI IN MEDIA, E ALTRI A FARE MASTER E STAGE… dovremmo ripiegare sullo stesso lavoro che avremmo potuto fare a quattordici anni e con la terza media? E’ una follia pretenderlo!
E per cosa poi? Per 700 euro lordi al mese (in media, se va bene) ?
La generazione “Mille Euro” aveva delle speranze che non sono più le nostre e mentre il potere d'acquisto scivola verso il basso, lo fanno anche gli stipendi. E il nostro umore.

Si discute infatti di riforme varie, dell'istruzione, del valore del titolo di studio, del rilancio dell'attività manuale come interessante e alternativa prospettiva al lavoro impiegatizio (per chi poi? Per chi ha i terreni di proprietà! E gli altri? A fare i contadini per il latifondista di turno?) ma di noi che abbiamo studiato cose che oggi si scoprono "inutili" ed invece (dieci anni fa, magari) erano vendute come "interessanti", di noi che abbiamo sperimentato i nuovi contratti, le nuove condizioni di flessibilità lavorativa...? Di noi che sarà?
Si parla del futuro dei giovani, di quello che potranno avere ma di noi - che saremmo già in età da "famiglia" - nessuno vuole sentire parlare, salvo poi dirci che dovremmo accettare sacrifici non contemplati e sostenere questa situazione per tutta la durata della nostra lunghissima vita lavorativa, per permettere “ai ragazzi del futuro”… un futuro diverso dal nostro.
A questo punto, dopo queste parole (e la prospettiva di essere sballottati da un posto di lavoro all’altro, da una mansione all’altra, da un paese all’altro, naturalmente senza speranza di poter mettere su casa – sempre ricordandoci che si può benissimo vivere per sempre in affitto ma – mi raccomando! – sempre da ITALIANI e quindi con la pressione fiscale più alta e una tassazione dell’anima, a momenti! ) il trentenne intelligente e con un minimo di rispetto per sé e il suo lavoro dovrebbe fare una cosa coraggiosa e apparentemente folle: FERMARSI.
Avete capito benissimo. Basta impegno, basta progetti, basta BASSA MANOVALANZA PERPETUA senza sbocchi. Basta stage, corsi con stage, master e finti praticantati in azienda…
BASTA. TUTTO AL MITTENTE. Lasciare tutto, non prendere niente di tutto questa finta offerta rigorosamente a pagamento. Fregature, ecco che sono.
I master poi, sono comici. Si propongono spesso come occasioni di perfezionamento e contatto tra università e mondo del lavoro e poi si riducono a momenti nei quali “paghi avanti” (e molto cara) la possibilità di farti visionare da un’azienda che già sa che non ti impiegherà e se sì… difficilmente in modo DECENTE.
Intanto qualcuno inizia a dire che vi è stata poca selezione e vi sono troppi laureati di cui la maggior parte è specializzata in “materie completamente inutili” che poi sarebbero -  non stiamo troppo a filosofeggiarci sopra (che appunto è inutile) - le materie culturali e “letterarie” in genere, quelle che mirano alla costituzione di un individuo culturalmente avvantaggiato e quindi socialmente pericoloso, se non altro perché non incasellato in una professione se non in senso troppo vago rispetto a chi si specializza in materie tecniche e scientifiche, considerate l’unica opzione valida per chi volesse esprimere la propria utilità per la società in senso molto concreto e collettivamente riconosciuto come “il migliore”.
Questo disprezzo nei confronti della cultura, di fatto l’unico elemento che costituirà in futuro la discriminante specifica tra una tradizione e l’altra, sarà nefasto per ogni singolo paese ed è ironico riflettere su come - proprio oggi - ci troviamo in un momento nel quale viene “musealizzata” la qualunque. Anche con eccessi comici.
Inutile rimarcare qui e ora la miopia di tale atteggiamento in un mondo nel quale proprio la tecnologia e le scoperte mediche saranno certamente globalizzate ma non un prodotto “tipico” come un’opera d’arte che pure in caso di traduzione soffre sempre  - e non poco -  l’adattamento ad altri standard linguistici (ad esempio) che ne fanno perdere parte del messaggio originario, impoverendola. Dovrei tralasciare quindi come molti di noi vengano anche considerati INUTILI e quindi ampiamente collocabili in CALL CENTER (a 3\4 euro l’ora) o in eterne e frustranti supplenze in istituti scolastici sempre peggiori o rifilati ad una qualunque “onlus” che si occupi di impiegare gli “schiavi”  - spesso pagati un’elemosina da qualche ente pubblico - in una qualche iniziativa pseudoculturale\sociale nella quale le mansioni svolte dai poveracci sono spesso equipollenti a quelle dei vecchi bidelli della scuola che fu.
Che tristezza. Tralascio anche di parlare di questo e di come gli altri laureati in materie scientifiche invece siano in massima parte utilizzati come “polli da batteria” in enormi calderoni umani dove svolgono mansioni medio\basse ampiamente sostituibili. Ecco, metto da parte tutto, tutto per tornare al concetto di IMMOBILITA’ PROGRAMMATA ossia fermarsi e fermare tutto, paradossalmente la migliore possibilità per chi di fatto viene considerato non meritevole di altro che di un posto in un’impresa di pulizie. Intendiamoci: non che vi sia disprezzo per questo lavoro o altri che ci vengono prospettati ma… NO, NO, NO. Non dopo tutto ciò che abbiamo passato, non alla nostra età. Non è neanche rispettoso verso chi ci ha pagato gli studi o verso il nostro lavoro per pagarli (a seconda se si è avuta o meno la fortuna di una famiglia in grado di sostenere l’onere degli anni di formazione).
Non è neanche possibile pretendere che dopo aver pagato avanti in tutti i sensi – piuttosto che lavorare da subito e aver guadagnato – si abbia come risultato questo bastardissimo livellamento verso il basso.  
Davvero, dove è finita la tanto declamata MERITOCRAZIA?


La meritocrazia di cui oggi si parla è applicata solo in modo piuttosto inquietante, analogamente a quanto succede per il concetto di MOBILITA’, altrove compensato da remunerazioni superiori a quelle del medesimo compito a tempo INDETERMINATO e solo in Italia “parificato” nel trattamento economico ai contratti una volta riservati agli “apprendisti”. Se ci faceste caso, vi accorgereste che si sta facendo largo un’infida campagna per l’abbandono degli studi.
Conseguire un diploma è doveroso e molto più facile che in passato, aggiungo. Ma andare oltre… spreco di tempo. Sul Corriere della Sera spesso vengono portate all’attenzione dei giovani storie di loro coetanei che hanno subito iniziato a lavorare. Operai di vario genere, impiegati in aziende (altrui, ovviamente). Gente con uno stipendio. A fronte di questo, non si fa seriamente una campagna per la chiusura degli atenei “inutili” e dei corsi “sforna-disoccupati” e quindi formalmente l’Italia continua ad sfoggiare corsi in materie letterarie che la certificano come “paese di cultura” a fronte di un collettivo atteggiamento di disistima – se non proprio di scoperto disprezzo – verso chi della cultura andrebbe ad occuparsi seriamente.
Produrre una serie di sottoposti da dare in pasto ai rampolli delle migliori famiglie - in possesso di belle lauree conseguite ovunque nel mondo -  è il fine della campagna contro la cultura a vari livelli. Pensateci: meno laureati, meno potenziali concorrenti per i posti da dirigente.
Sul sito del MIUR, mesi fa, il Governo ha promosso una consultazione popolare di cui solo le sceltissime classi sono state messe al corrente probabilmente in modo da falsarne i risultati. Era disponibile per chiunque – in teoria – un questionario SUL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO dove di fatto veniva ventilata l’ipotesi di trattare in modo diverso (avvantaggiandoli) coloro che si laureano in atenei generalmente noti come “prestigiosi”  - pur sapendo tutti benissimo che la musica è in realtà diversa, nei fatti – coloro che, altra faccia della medaglia, possono permettersi di pagare le tasse di tali eccellenti università altrimenti precluse a tutti i comuni mortali. Il nuovo, nascente, concetto di meritocrazia quindi sarebbe basato su una divisione preventiva del candidato per censo,  portando alla decisione discutibile di considerare di maggiore valore una laurea conseguita in date università  - anche con votazione inferiore - rispetto ad un titolo con il massimo dei voti e lode ma ottenuto dal candidato in un’università più piccola o comunque non con la stessa reputazione di una nota.
Verrebbe da ridere se non fosse drammatico.
La strumentalizzazione del miglior concetto del mondo - ossia la ricerca dell’eccellente - è sotto gli occhi di chiunque non si trovi dalla parte migliore della barricata. Cosa alla fine c’entri tutto questo con la meritocrazia è un mistero della fede. Sempre la stessa che dovremmo avere noi trentenni nel futuro. Degli altri.
E quindi ecco di nuovo l’ipotesi antisociale, quella combattuta con ogni mezzo dal sistema tritacarne che pretende l’adeguamento dell’essere umano alle sue esigenze e non il contrario: FERMARSI. NON FARE PIU’ NULLA. Si dovrebbe, molto semplicemente, fermare tutto il terziario e non solo – perché i precari ci sono in tutti i campi e anche per i campi a zappare – e farlo senza interruzioni fino al raggiungimento dello scopo. Presentarsi in massa alla Caritas con la bocca aperta e a muso duro. Andare tranquillamente in giro a ciondolare, non fare NIENTE. La protesta non violenta durerebbe pochissimo.
Ma tutti dovrebbero rifiutarsi di lavorare a queste condizioni.
Mi si potrebbe obiettare che solo pochi potrebbero permetterselo. Sicuri? Ovviamente una certa percentuale di noi è in queste condizioni ma non si tratta di coloro che, mediamente, hanno percorsi formativi lunghi e coloro che hanno IMMEDIATO bisogno non sono in condizioni di far altro che farsi sfruttare, purtroppo. Ma gli altri? Quelli che potrebbero permettersi di combattere anche per loro? Fate due conti.
Se spedente, come è praticamente scontato, di più per mettere benzina e recarvi a lavoro piuttosto di quel che prendete come così detto stipendio; se non potete pagarvi l’affitto; se non potete comprare NIENTE se non con l’aiuto dei vostri genitori… guadagnereste di più stando a casa. Un po’ per la logica del lavoratore “di casa” che  – potendo contare su uno stipendio – non paga per le pulizie, non paga per la gestione dei bambini, paga meno la spesa – perché ha tempo di pianificarla – e fa meglio i conti sulle entrate e uscite. Alla fine del mese è praticamente scontato che chi lavora in casa a tempo pieno, metta da parte con il risparmio ben più di quel che guadagnerebbe facendo il classico lavoro mal pagato, fuori. So perfettamente che dire qualcosa del genere – soprattutto di questi tempi - è molto “antisociale” ma è un aritmetico dato di fatto ed è possibile valga anche per voi.
Solo di benzina risparmiata - o di soldi per i trasporti e le necessarie spese di “rappresentanza” - mettereste da parte un potenziale gruzzolo-familiare.
Certo, vi ridurreste a vivere come bambini e dovreste sperare di avere la complicità della famiglia ma così sarebbe per la maggior parte di noi.
Se pensate poi, con paura, che potrebbero farci marcire nella nostra immobilità, SBAGLIATE. L’Italia si è ridotta a non poter fare a meno dei così detti “precari” e quindi il governo sarebbe costretto in pochissimo tempo a riconsiderare i suoi programmi sulla generazione DA TAGLIO e rivedere le priorità della crescita, al momento orientate all’uso massiccio della persona in quanto OGGETTO DI CONSUMO e a favore di coloro che usano il ricatto lavorativo come lurido mezzo per speculare immoralmente sulla vita di altri. A tale modo di fare si può solo rispondere con il RICATTO SOCIALE dell’immobilità ad oltranza. Tutto cambierebbe, se tutti ci fermassimo. Ma vedo poco coraggio in giro e molta rassegnazione, figlia della debolezza di carattere che della sicurezza delle proprie intenzioni.
Mi piacerebbe confidare nella forza di tutti i miei coetanei e non solo per il mio bene ma per il bene di tante altre persone anche, se non soprattutto, di chi non può permettersi questo mezzo di protesta o ne morirebbe.
Ci vorrebbe però la rabbia della fame e in Italia, ancora, non si è a questi livelli.
Monti ha avuto il fegato e la faccia tosta di definire la nostra generazione “perduta” e quindi detto che si lavora perché non sia così per gli altri. Se è così, l’Italia merita che la nostra generazione se ne scappi lasciando tutto in balia dei baldi ventenni che vedete in giro. Lasciamo a loro l’onore  - e l’onere -  di macinare la propria vita per il futuro di altri e per pagare la pensione a questa gerontocrazia temporeggiatrice. La parola d’ordine dovrebbe essere AMBIRE; Ambire per DESIDERARE, PRETENDERE, quel che ci spetta.
Ma negli occhi delle persone non vedo fierezza e tutti predicano – anche furiosamente, nella loro infelicità  – che non c’è scampo e dobbiamo accontentarci. Io non intendo farlo, combatto molto dolorosamente per non farlo, ma penso a tutti gli altri.
Peccato.
Perché chi si contenta non gode “così così”. Semplicemente non gode mai.

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