venerdì 9 marzo 2012

CatilinaRai: invettiva contro la tirannide della banalità.


“Il canone televisivo o canone RAI è un'imposta sulla detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano, indipendente dalla reale fruizione o dalla volontà di fruire dei programmi trasmessi dai vari operatori televisivi. Le entrate dello Stato derivanti da questa imposta sono devoluti direttamente alla società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo italiano, cioè la Rai Radiotelevisione Italiana S.p.A..” (Da Wikipedia, alla quale rimando per la facilità di reperire utili informazioni in merito.)

Non si sfugge: il canone RAI è una tassa di possesso e, come tale, va pagato. Non è chiaro ai più perché le entrate che ne derivano spettino unicamente a Mamma Rai , ma è un risibile dettaglio.
E non è da ieri, né dal mese scorso che si disquisisce sull’opportunità di pagare o meno il feudale balzello  al quale, nell’ultimo ventennio, sono stati opportunamente cambiati i connotati per non modificarne minimamente la sostanza:  qualcosa dal sentore illiberale, che mantiene l’antico nome, come a ribadire il diritto divino ad esistere.
E’ variopinta la serie di pareri che si esprimono nel web, ed il più favorevole che mi sia capitato di leggere è “Se è una tassa, va pagata e basta”.
Lo dico anch’io, in effetti: lungi da me l’inneggiare alla rivolta fiscale. Anzi, chiarisco, a scanso di equivoci. Le tasse vanno pagate, ma discuterne si può e si deve. “E basta” , dunque, non lo condivido per niente.
C’è chi, come l’ADUC (Associazione per l Diritti degli Utenti e dei Consumatori) propone, sul proprio sito internet, una petizione per l’ abolizione del canone/tassa Rai, che secondo il testo della medesima, abusa di una posizione dominante. Mi pare legittimo, anzi, giusto.
Qualcun altro propone di privatizzare la Rai: che si ristabilisca la parità, perbacco.
No, non è esattamente così che la penso.
La dico tutta: a me la vecchia Mamma Rai, quella che combatteva attivamente l’analfabetismo, quella che faceva cultura e non sottocultura (ancorché settaria e spesso del segno opposto al mio)  quella che educava, proponeva un po’ piaceva. Ma la vegliarda ha creduto di tenere il passo adeguandosi alle mode commerciali e per attirare l’attenzione ha fatto il verso all’adolescente del piano di sotto, con un risultato davvero stucchevole.
Così sono arrivati i serial che propinavano un modello di società spregiudicata, i talk show litigiosi ed urlati, maleducati ed irrispettosi, le domeniche pervase di luoghi comuni, i predicatori , gli opinionisti,  la musica…ma è tutta lì la musica? E chi più ne ha, più ne metta.
A chi propone di disertare la gabella, si oppone chi argomenta che il canone nostrano è assai meno salato di quello dei vicini di casa. Beh, che razza di obiezione è questa? Il servizio che la tv di stato offre colà  supera di cento lunghezze il nostro, e sarei contenta di corrispondere una simile cifra in cambio di un servizio che scimmiotti il loro. I nostri talent show hanno portato alle stelle una Susan Boyle? Conosce l’italiano medio l’esistenza di musicisti del calibro, per esempio, di Paolo Fresu, che riscuote la meritata notorietà all’estero? Sa dell’esistenza di…
No, ma a canzonette siamo forti! Anche a parolacce, ce la caviamo. Quanto a strapagare predicatori di ovvie trivialità poi…
“Vulgus vult decipi”…eh no!

Facciamo così, cambiamo marcia: esigiamo un “Servizio” come si deve, e paghiamolo, se vale. Usi la Rai, che a dire di molti incassa dalla pubblicità anche più di quel che necessita per quanto attualmente propina, i nostri sudati guadagni per darci quello che meritiamo. Non si pieghi alle logiche di mercato che appiattiscono la cultura, livellandola verso il basso, l’infimo. Ci proponga, una tantum, programmi interessanti, che ci facciano crescere culturalmente ed umanamente. Si ricordi delle minoranze acculturate,  e le difenda. Né scordi di far progredire le maggioranze di scarsa scolarizzazione, se capita.  Promuova i giovani di valore e riservi alle antiche icone la venerazione che spetta loro, rinunciando ad improbabili, anacronistici, muffosi ricicli.
La smetta, una buona volta, di inseguire quel viscidone dello “Share”, e non si permetta mai più di regalare i soldini dei contribuenti a scimmie urlatrici opportuniste e settarie, mistificatrici ed irriguardose.
Basta così?

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